Saggio è colui che tra le ammucchiate di infernali paradisi e le orge di paradisiaci inferni sa scegliere la via di mezzo.
(Charles Bukowski)
Nel 1995, i Negrita probabilmente non erano ancora in grado di scegliere vie di mezzo, ma di certo non avevano alcuna intenzione di riposare sulla messe di allori piovuti dopo l’ottima accoglienza ottenuta dall’album di debutto. L’aria di cambiamento che si respirava fino a qualche mese prima non era mutata poi di tanto ma, col senno di poi, il primo singolo della loro carriera, con lo scemare d’interesse pubblico verso la vicenda di Mani Pulite, finì per trasformarsi quasi profeticamente in una vera e propria dichiarazione d’intenti: il cambiamento auspicato a livello politico sarebbe dovuto diventare una vera e propria filosofia di vita per il gruppo. Dal particolare al generale. Dai paradisi fiscali a quelli per Illusi. Mentre i cinque continuavano ad incrementare la propria fama di live band, suonando in ogni angolo del Paese, la voglia di tornare in studio si faceva sempre più largo, mitigata tuttavia da dubbi, insicurezze. Era dunque il momento opportuno per un nuovo album di inediti o sarebbe stato più saggio continuare a suonare fino a che ci fossero state richieste? La scelta ricadde su un mini album, formato che la band aveva imparato ad amare grazie a Jar of Flies degli Alice In Chains. Ecco la via di mezzo che, allo stesso tempo, poteva far sì che il repertorio dal vivo diventasse quasi esclusivamente originale. Il processo si era così invertito: se un tempo la band era solita suonare cover, intramezzate da brani scritti di proprio pugno, ora la gente voleva sentire i Negrita e quello che avevano da dire.
La ricetta fu molto semplice: una certa continuità col successore ma con un’apertura verso sonorità inesplorate, un pizzico di grunge e una serie di nottate in giro per Firenze, tra improbabili panini col lampredotto e risate tardo adolescenziali sui viali popolati da personaggi che parevano provenire da libri di Bukowski o film di David Lynch. Con l’aggiunta di un fonico della caratura di Mike Tacci, fresco del successo stratosferico del Black Album dei Metallica.
Va da sé che i paradisi evocati dai Negrita non avessero molto a che spartire con quelli biblici, tanto che fin dagli esordi i cinque avevano mostrato di apprezzare maggiormente le strade spettrali e i crocevia di Clarksdale, piuttosto che le monotone dimore destinate alle anime beate.
Ma gli illusi, in fin dei conti, chi erano? Forse semplicemente chi cercava di credere che il mondo potesse essere migliore di quello che appariva alla ragione, chi cercava di viaggiare anche senza potersi muovere dalla propria stanza? Quella copertina, così suggestiva ed ermetica, forse conteneva più chiavi di lettura, significati nascosti, formule segrete create nella stanza dei Dottori. Forse quelle figure che sembravano formarsi nelle nuvole dietro alla band non erano semplici pareidolie.