Non credere alle favole, ma neanche alla realtà. A tutti quegli scrupoli che non ti fanno vivere. Non perderti mai niente che tenga in vita questo fuoco. Illuditi, convinciti che no, tu non ti brucerai.
(Il Giorno Delle Verità)
Il tour di Helldorado si era trasformato in un trionfo di pubblico e critica, testimoniato da sold out continui e da una band in stato di grazia. Londra, Berlino, Argentina, Spagna e poi ancora gli States, con diversi concerti e l’incredibile avventura del Jack On Tour e del suo road movie: grazie al loro mix di sonorità e anime, i Negrita erano ufficialmente diventati cittadini onorari del mondo.
Una band all’apice, un team ormai super collaudato e un consenso pressoché unanime sembravano il lasciapassare per l’ennesimo successo, tuttavia, la nascita dei nuovi brani fu tutt’altro che serena. Il morale della band che nel 2011 pubblicò Dannato Vivere, infatti, era lontana anni luce da quella che i fan avevano frequentato nell’ultimo lustro.
Che il cielo sopra ai Negrita non fosse più terso come quello di pochi mesi prima, i fan più attenti lo compresero già osservando la nuova copertina, in grado di trasmettere tutto fuorché spensieratezza. Fu però solo con l’uscita di Brucerò Per Te che le cose divennero maledettamente chiare: nella stanza dei Dottori qualcosa non andava e quei sentimenti non potevano che rimanere intrappolati nei solchi di ciò a cui avevano lavorato negli ultimi mesi.
In realtà, Dannato Vivere, lontano dall’essere uno sterile lamento dettato dall’autocommiserazione, sapeva mostrare la consueta scarica di energia, unita alla varietà di registri musicali che i fan avevano imparato a conoscere. La cosa che più colpiva, però, è che questa volta lo faceva in modo più crudo, meno divertito e più sofferto. Anche i brani all’apparenza meno cupi trasmettevano comunque un forte senso di gravità, di peso, di attesa spasmodica di risposte. Era un pugno in faccia alla vita che, di colpo, si era fatta nemica. Se, in Helldorado, l’esortazione era a muoversi, qui l’immobilità aveva preso il sopravvento. Allo stesso tempo, quasi per assurdo, insieme al disincanto, al mondo che aveva smesso di sognare e a tutta una serie di immagini nostalgiche evocate nell’album, quella manciata di brani portava con sé anche i semi della risalita, della voglia di non abbandonarsi, trovando nell’arte stessa la catarsi di cui sentivano il bisogno. Soprattutto, in quel dolore, i Negrita erano sembrati uniti, simbiotici. Ignifughi.