Credo che un concept album si debba ascoltare come si legge un libro, partendo dall’inizio, riga dopo riga, brano dopo brano, attenti e concentrati, ma lasciandoci trasportare da quello che viene e che si porta dietro anche tutto quello che pensi e che senti nel frattempo.
So, da narratore, che prima o poi, e meglio se prima, arriva una sorta di dichiarazione di intenti in cui in qualche modo ci accordiamo, proprio come strumenti, noi di qua e voi di là, sul senso, il tono, la direzione della storia che ci stiamo raccontando.
Così mi metto comodo e parto con “Nel Blu”, e lì la trovo subito la chiave a cui accordarmi, mi bastano le prime parole sul raschiare della chitarra e della voce, e quando arriva ma che Dio vi maledica, è tutto chiaro.
È la rabbia.
Per una brutta storia che va avanti da troppo, che resta sempre di una attualità spietata e che è ora che finisca subito, e definitivamente.
Vogliamo vedervi morti.
Sì, sappiamo cos’è giusto e cos’è sbagliato, cos’è bello, e infatti arriva il Blu, con la sua pace utopica.
È, giusto, è la bellezza del creato.
È giusto.
Però, penso ancora, non mi fregate così, non ci freghiamo.
È bello, ma io resto incazzato.
Continuo ad ascoltare come si legge un romanzo, e non solo, un romanzo noir, un thriller, insomma un giallo. Di solito, dopo il primo pugno nello stomaco, ancora così pieni di energia sentimenti, qui di rabbia, arriva un momento di pausa, una piccola sospensione in cui si precisano i personaggi e il loro punto di vista. Noi, insomma, noi che leggiamo, che ascoltiamo, che ci raccontiamo questa storia.
Chi siamo noi?
“Noi siamo gli Altri”.
Quelli del pezzo prima sono loro, cattivi, arroganti, roboanti, spietati, noi no, noi siamo gli altri, io sono così.
Gli Antieroi. No, anzi, senza la maiuscola, perché siamo tanti, anche se sembriamo una minoranza, siamo quasi tutti e il quasi sono loro, e allora siamo noi, siamo gli antieroi, con la minuscola.
Quello che ci fa resistere, penso ascoltando, sembra l’orgoglio della disperazione, perché è così che la sentiamo, questa storia, ma è anche la resistenza dei giusti.
Basta poco.
Loro sono quelli che la fanno brutta, la storia, è vero, quelli che ci bombardano così tanto che sembra inutile resistere, va bene, ma noi siamo quelli che mettono la mano davanti alla locomotiva, come scriveva Giorgio Scerbanenco in “La lettera del suicida”, un desiderio di morte che sembra sempre travolgente, ma ogni tanto la locomotiva si ferma.
Non sarà ancora la rivoluzione che non c’è.
Ma è già molto, perché è.
Resto incazzato, e qui, in questa storia, adesso so chi sono e dove mi trovo.
Sarà una deformazione professionale da scrittore di gialli, ma continuo ad ascoltare quello che viene come se fosse un noir, un noir sociale e politico di quelli che scriviamo noi. A questo punto in un thriller ci dovrebbe stare qualcosa che spiazza, e infatti eccola qui.
Tra le prime parole di “Ama o Lascia Stare” ce n’è una che dove mi trovo adesso sembra rappresentarmi completamente, ed è odio.
ODIO.
Ma aspetta, è troppo semplice, l’odio non basta, anzi, non è la reazione giusta, non così. Viaggiare contromano, come vorremmo e dovremmo fare tutti in questa brutta storia di anni spietati è più complicato e richiede più sforzo.
Richiede lo sforzo di sognare.
È vero.
E allora mi chiedo, dove sono, adesso? Chi sono?
Va bene, andiamo avanti.
Scopriamolo.
C’è bisogno di storia.
Quando non si capisce più niente e ci si sente smarriti dentro la nebbia di un mistero che ti spiazza bisogna fermarsi e fare un passo indietro per mettere in fila tutto quello che è successo fin qui. Si fa così nei romanzi gialli e lo hanno fatto nella realtà i tanti processi che hanno cercato di fermare la storia di questo nostro paese così malato.
Io non sono mai stato un dylaniano, lo so che è un mio limite, ma in “Song to Dylan” per un po’ lo divento, perché rappresenta con gli altri autori citati tutta la storia che ci ha portato ad essere gli Altri, con le mani protese contro la locomotiva, per un Sogno che sta lassù, nel Blu.
Va bene, allora, di nuovo.
Siamo così.
La terra, noi tutti, abbiamo bisogno di una rivoluzione.
Quale?
E dov’è?
Tutte le volte che succede qualcosa di grosso qui da noi, o in altri paesi come il nostro, salta per aria una piazza o una stazione, ammazzano un presidente su una macchina scoperta, saltano per aria i giudici in auto o in casa, muore una donna ogni tre giorni, fanno una retata di mafiosi e colletti bianchi in una prospera e sana regione del nord, tutte le volte parliamo di perdita dell’innocenza.
Per noi è stata la strage di Piazza Fontana, a Milano nel 1969, per gli americani l’omicidio di Kennedy nel ’63, ma come scrive James Ellroy in “American Tabloid”, l’America non è mai stata innocente, e anche noi la nostra verginità politico-criminale, anche soltanto nella sua variante stragista, l’avevamo già persa da un pezzo, dal 1945 di Portella della Ginestra, per esempio, e ancora prima.
Perché è vero, verissimo: “Non Esistono Innocenti, Amico Mio”.
Perché se ci stupiamo tutte le volte che succede una cosa che già abbiamo visto in passato, è perché ce la siamo dimenticata.
E se l’abbiamo dimenticata nonostante il suo continuare ad accadere tutti i giorni è perché ci siamo abituati.
E se ci siamo abituati, esercitando la feroce prerogativa di girarci da un’altra parte, distratti da qualcos’altro, allora siamo colpevoli, mortalmente colpevoli anche noi.
Anch’io.
E quindi sì, amico mio, non esistono innocenti e questo è un pensiero che mi fa rabbia e un po’ mi fa anche piangere.
Ed ecco che sono incazzato di nuovo, ferocemente, disperatamente, tristemente incazzato.
Una volta mi hanno fatto tenere una lezione di storia in una scuola per stranieri. Essendo io quello che sono e quello che scrivo, era la storia della metà oscura del nostro paese e ho raccontato le peggio cose possibili, mafia, terrorismo, servizi deviati, scandali, dossier, tutto. Ad un certo punto si alza un ragazzino, non ricordo di dove, e mi chiede: com’è che esistete ancora?
Bella domanda.
Io gli ho risposto citando i 100.000 milanesi che ai primi funerali per la strage di Piazza Fontana erano lì con certe facce che se anche qualcuno avesse voluto fare qualcosa di brutto, che so, un colpo di stato, a vedere tutta quella gente lì, con quelle facce lì, venuta lì spontaneamente, ecco, ci avrebbe pensato due volte.
Cosa c’entra con “Buona Fortuna”?
C’entra.
A parte che con tutte le emozioni che mi friggono dentro avevo proprio bisogno di sentire parole come amore mio, sciolte in un’atmosfera musicale così dolce e apparentemente rilassata che sa di luna e di sogno, capisco che è ancora possibile fare qualcosa.
Contando sulla gente anche se il banco vince sempre.
La gente è quella lì che ogni tanto la locomotiva la ferma.
Incazzati, sì, ma con amore e fortuna.
Tranquilli, si dice da noi a Bologna, che non significa indifferenti, ma solidi, giusti e concreti.
Tranquilli.
Sono tranquillo, qui, e vado avanti.
Se il narratore è onesto e sincero la storia che racconta è più ricca di domande che di risposte.
Se questo qua è il risultato, “Dov’è Che Abbiamo Sbagliato?”.
Siamo una generazione dopo quella di Giorgio Gaber che constatava con disperata amarezza di avere perso, e ci facciamo la stessa domanda.
Se siamo qui tra aperitivi e autodistruzione, come i protagonisti del film “Don’t Look Up”, che vanno avanti con ipocrita indifferenza mentre l’asteroide sta per cancellarci dalla terra, allora abbiamo sbagliato.
Però, e guarda la forza dei narratori quando raccontano una storia, ecco che sento una cosa nuova, che non mi aspettavo. Colpo di scena.
Non so se sia voluto o meno ma non importa, chi segue la storia prende quello che vuole, ma invece di sentirmi male a confessare di far parte di una generazione di autori o anche semplicemente di persone che hanno sbagliato, improvvisamente ho la consapevolezza energica che non abbiamo perso.
Se siamo ancora qui a chiedercelo, con passione e forza, allora non è ancora finita.
Non sono soddisfatto ma in qualche modo sono contento.
Io non sono un nazionalista, anzi, ma tutte le volte che sento parlare di Italia in un certo modo mi commuovo sempre un po’.
L’Italia paese, l’Italia gente, quello che siamo noi sotto una bandiera che non serve a segnare confini fisici ma di anima, che in quanto tali non sono più confini ma porti aperti.
Sono le parole di De Gregori che mettono in fila tutto il bello e tutto il brutto, tutte le ferite, di questo nostro paese, sfortunato e bellissimo, ed è esattamente quello che ci vuole qui.
Inno nazionale, questo, che parla di un’Italia che non muore ma resiste, e tutti insieme con la mano sul cuore e lo sguardo dritto in avanti.
Non su un generico e perduto orizzonte, proprio in avanti.
Dritto.
Torna il sole e torna l’estate e vedrai che va tutto bene.
Che detto così sarebbe una facile conclusione, in qualche modo bisogna finire e se finisce con un lieto fine è meglio, consola, tranquillizza e si vende di più.
Ma, attenti, qui non è così.
Perché è tornato l’arcobaleno ma sappiamo su cosa e non ci piace.
Siamo quelli là, quelli che sono arrivati fin qui, così.
Sono Anni Spietati, lo sono sempre stati.
Ma lo saremo anche noi con loro.
Nel modo giusto.
Senza illusioni ma consapevoli che il cambiamento “Non si può fermare”.
Chiudo il libro, metto in pausa l’ascolto.
Sono contento, ferocemente, spietatamente, dolcemente contento di questo viaggio.
Grazie.
Carlo Lucarelli
Esce oggi Canzoni Per Anni Spietati (USM/Universal), il nuovo disco dei Negrita che contiene i singoli Non Esistono Innocenti Amico Mio, Noi Siamo Gli Altri e Nel blu (Lettera ai Padroni della Terra).
A sette anni di distanza dall’ultimo lavoro in studio, la band torna con un concept album di 9 brani che rappresenta un atto di libertà creativa e di pensiero, un ritorno potente e necessario per un gruppo che, oggi più che mai, ha qualcosa di importante da dire.
Si tratta di un disco di reazione che esplora la contemporaneità con uno sguardo critico e profondo, nato dall’urgenza di raccontare il Paese Reale con uno stile diretto, senza compromessi.
L’obiettivo è quello di affermare la diversità e l’indipendenza di pensiero, offrendo un punto di vista che si rivolge a una categoria dimenticata di frequente, quella dei liberi pensatori: un popolo non rappresentato che osserva il mondo con una lettura attenta e indipendente.
Mettendo insieme i brani di “Canzoni per Anni Spietati”, si ha una visione del mondo completa perché il disco riflette il desiderio della band di fotografare, in modo crudo ma autentico, le difficoltà del vivere oggi. La voglia di fuga e la disillusione sono tra i temi centrali di questo lavoro, che si pone come una riflessione lucida su una società segnata da un crescente senso di disorientamento e da un diffuso odio sociale. L’album si configura quindi come un’opera politica (e non partitica) nel senso più profondo del termine, affrontando cioè le questioni che riguardano la collettività e le sue sfide quotidiane senza schierarsi se non dalla parte delle menti autonome.
Il sound del disco è estremamente eterogeneo, con radici profonde nel folk internazionale ma arricchito da influenze che spaziano oltre i confini di un genere preciso. Il folk, infatti, è la matrice della composizione, ma non degli arrangiamenti, che si muovono in direzioni diverse e sorprendenti. L’italianità resta fortemente presente soprattutto nella forma canzone. Si tratta di un concept letterario più che musicale, in cui le parole diventano l’elemento di connessione tra i brani. Ogni canzone si lega all’altra, dando vita a un progetto in cui il filo conduttore è rappresentato dalle tematiche affrontate.
Tra le sorprese del disco spiccano due omaggi importanti, scelti per il loro valore simbolico e per la loro profonda connessione con le tematiche centrali dell’album. Il primo è “Song to Dylan”, un brano ispirato a Bob Dylan, figura emblematica del cantautorato ribelle e poetico che rappresenta da sempre la voce degli outsider. La band, attraverso questo omaggio, richiama quello stesso spirito di libertà creativa e di riflessione profonda che attraversa l’intero disco. Il secondo omaggio è una reinterpretazione di “Viva l’Italia” di Francesco De Gregori, un classico della canzone d’autore italiana che affronta, con profondità e sensibilità, la complessità dell’identità nazionale. La band sceglie di rileggere questo brano alla luce delle nuove tensioni sociali e culturali, offrendo una versione capace di dialogare con il presente.
Nel suo insieme, l’album si presenta come una narrazione coerente e coinvolgente, capace di offrire una visione completa del mondo contemporaneo. Un disco pensato per chi ha ancora voglia di ascoltare con attenzione, per chi cerca nella musica non solo intrattenimento, ma anche uno spunto di riflessione profonda. Un progetto che merita un’attenzione particolare, non solo per il valore intrinseco delle canzoni, ma anche per il momento storico in cui viene pubblicato.
“Non serve chissà quale grado di sensibilità per capire quando il mondo che ti ha cresciuto sta scivolando verso una deriva tossica preoccupante. Le opzioni per un artista sono due. O si gira dall’altra parte guardandosi la punta dei piedi o prende di petto la situazione denunciando, con le armi che ha, quello che non va. Con “Canzoni per Anni Spietati” abbiamo deciso di non far finta di niente, conveniente o meno che sia. Buon ascolto.” – Negrita
Con lo sguardo rivolto verso il cielo e i piedi ben piantati sulla terra bruciata dagli anni spietati, i Negrita sono oggi su tutte le piattaforme con il singolo e il video di Nel Blu (Lettera ai Padroni della Terra): un manifesto, un atto di resistenza poetica che travalica i confini della musica. Il brano anticipa il nuovo disco Canzoni Per Anni Spietati in uscita il 28 marzo per Universal/USM.
Il pezzo prende ispirazione dal celebre Masters of War di Bob Dylan, una canzone che negli anni ’60 denunciava con feroce lucidità l’industria bellica e le sue conseguenze. Nel 2025, il conflitto non è solo sulle armi, ma sulle coscienze: in un’epoca di disinformazione e manipolazione globale, il brano si fa portavoce di un’umanità smarrita, di antieroi che, con l’ultima scintilla di consapevolezza, scrivono una lettera ai padroni della terra. Il ritmo incalzante, il groove solido e l’anima rock rendono il pezzo una delle vette espressive dell’album, un inno alla ribellione consapevole.
“Siamo piuttosto orgogliosi di questo pezzo. In qualche modo è forse anche il più rappresentativo del disco e non è un caso che lo apra.” – Negrita
L’immaginario visivo che accompagna Nel Blu (Lettera ai Padroni della Terra) è potente e simbolico: una tipografia, luogo di stampa e diffusione della verità scritta, diventa il teatro di una rivoluzione silenziosa.
Il video, girato a Messina da Saverio Tavano per Italy Unlocked films pone al centro il testo. Tra inchiostro e carta, due tipografi lavorano alla composizione di un messaggio. Un vecchio televisore si accende: frammenti di guerra, volti, povertà, mentre dai rulli della macchina da stampa iniziano ad apparire testi di resistenza e il blu, simbolo di speranza e trasformazione si insinua nello spazio. La lettera ai padroni del mondo è pronta, un gruppo di bambini in bicicletta, custodi del futuro, pedalano fino a una spiaggia, dove la lettera viene lanciata nel vento, verso il mare, verso il cielo, verso il mondo. Il messaggio è libero, pronto a raggiungere chi è disposto ad ascoltare. Negli ultimi istanti, la tipografia è vuota. I Negrita entrano in scena, esplorano lo spazio e, in un gesto denso di significato, ripongono la chiave nel cassetto da cui tutto era iniziato. La rivoluzione non si ferma, si trasmette.
Da oggi possiamo dare ufficialmente il via al countdown:
– 1 MESE all’uscita di CANZONI PER ANNI SPIETATI 🔥🤟🏻
“Mai come con questo album vogliamo lasciare che siano le canzoni a parlare, e allora iniziamo con i titoli.”
Da oggi potrai conoscere la tracklist del disco. Ti basterà pre-salvare “Canzoni per anni spietati” su Spotify per scoprirla!
Clicca il link di seguito: PRE-SALVA SU SPOTIFY
Dopo l’ottima accoglienza ricevuta dai primi due singoli, “Non Esistono Innocenti Amico Mio” e “Noi Siamo Gli Altri”, arriva l’atteso annuncio: il nuovo album dei Negrita, “Canzoni Per Anni Spietati” (Usm/Universal), sarà disponibile dal 28 marzo 2025 e il pre-order è ufficialmente aperto al link: https://negrita.lnk.to/CPASWE
Il disco rappresenta il nuovo atteso capitolo artistico della band, un concept album, un vero e proprio atto di libertà creativa e di pensiero che arriva a sette anni di distanza dall’ultimo lavoro in studio.
A impreziosire l’annuncio, i Negrita svelano anche la copertina del nuovo album, una scelta grafica che si distingue per la sua essenzialità e potenza comunicativa. Nessuna immagine, solo parole. Il titolo “Canzoni Per Anni Spietati” campeggia da solo, senza distrazioni visive, a sottolineare l’urgenza del messaggio e la centralità dei contenuti del disco. In un’epoca in cui l’immagine domina su tutto, la band decide di andare controcorrente, riaffermando il valore della parola scritta e l’importanza di un album che nasce per essere ascoltato, vissuto e interiorizzato senza filtri.
Per festeggiare con i propri fan l’uscita del nuovo disco, la band ha pensato di incontrare alcuni di loro in un esclusivo Meet & Greet nelle venue dei concerti del “Negrita – Canzoni Per Anni Spietati Tour”. Questa possibilità sarà data a chi avrà effettuato il pre-order dell’album in qualsiasi formato sullo shop di Universal Music e avrà acquistato o acquisterà un biglietto per una delle date tour.
Maggiori info su https://shop.universalmusic.it/collections/negrita.